È una storia che viene da molto lontano. Si potrebbe iniziare a raccontarla dal 1066, data della battaglia di Hastings, quando i normanni conquistarono la Gran Bretagna sconfiggendo gli anglosassoni. Oppure dal 1200 circa, quando fu invasa l’Irlanda.
Un conflitto infinito, che ha assunto di volta in volta diversi aspetti: politico, sociale, religioso. Uno scontro di popoli, di culture e di fedi, quello tra la cultura celtica e quella normanna. Tra i popoli inglese e irlandese, tra le fedi protestante e cattolica. Per non farla troppo lunga possiamo anche guardare al 1916, quando scoppiò l’ultima ribellione irlandese alla millenaria occupazione britannica. Perché parliamo di una storia e di una terra dove il tempo ha una dimensione diversa. Verticale. Dove passato, presente e futuro semplicemente si sovrappongono quasi confondendosi. Senza dilatarsi nello spazio.
Oggi di questo conflitto si parla poco, grazie alla precaria pace raggiunta tra le opposte fazioni nell'Irlanda del Nord, dove dal 1968 si contano oltre 3.000 vittime. Ma cattolici e protestanti, filobritannici e antibritannici, continuano a confrontarsi anche senza armi ed a vivere separati sia nelle sei contee dell’Ulster, rimaste sotto il dominio di Londra, sia nella Scozia dove da due secoli c’è una forte presenza irlandese.
Tutto questo è visibile anche attraverso il calcio. In particolare una partita iniziata 122 anni fa a Glasgow, la città più grande e moderna a nord del Vallo di Adriano. Qui poco ha potuto la globalizzazione, nonostante la forte presenza di immigrati musulmani e le relative moschee. Il confronto resta quello tra cattolici e protestanti, ancora divisi in quartieri rigorosamente separati dal fiume Clyde, che attraversa la città. Nella parte orientale di Glasgow andarono a vivere le centinaia di migliaia di immigrati irlandesi e cattolici dalla metà del 1800 per cercare pane e lavoro e sfuggire alla terribile carestia che flagellò l’isola per decenni.
Fu in questi quartieri diseredati che fondò la sua parrocchia e svolse la sua opera caritatevole padre Walfrid, prete cattolico irlandese. Per raccogliere fondi a favore della mensa dei bambini poveri che gestiva creò uno squadra di calcio, la chiamò Celtic, in onore delle radici gaeliche della sua gente. Era il 1888. La squadra giocava appena dietro il cimitero prima di trasferirsi nell’attuale stadio, il Celtic Park, soprannominato Paradise per stigmatizzare una specie di simbolico passaggio dall’inferno al paradiso.
Nello stesso periodo sull’altra riva del fiume era sorto lo stadio dei protestanti, i Rangers, nel cuore del quartiere di Ibrox, roccaforte dei lealisti filobritannici. Fin da subito la rivalità politica e religiosa fece da sfondo ai derby cittadini che presto qui vennero ribattezzati Old Firm, vecchia fabbrica. Una partita divenuta subito una fabbrica di sogni e di rancori, di trionfi e di vendette. Ma anche di quattrini perché nonostante il valore spesso non eccelso delle squadre attira l’attenzione di mezzo mondo.
Ogni anno, a Glasgow, si giocano quattro Old Firm, tutti combattutissimi, indipendentemente dall’andamento delle squadre in campionato. Per questa partita dall’Irlanda, Belfast in particolare, arrivano oltre 20mila tifosi, perché il Celtic non è una squadra scozzese ma è la squadra che meglio rappresenta nel calcio l’Irlanda. Un motivo di orgoglio per un intero popolo, essendo stata anche la prima squadra delle isole britanniche a vincere una Coppa dei Campioni. Un evento straordinario, ancora celebrato su magliette e striscioni, come se fosse appena accaduto. Ancora oggi i cosiddetti Lisbon Lions, i giocatori di quella mitica squadra, tutti cattolici nati nei pressi dello stadio, vengono trionfalmente accolti ogni domenica allo stadio.
Uno stadio che all’Old Firm si tinge di colori unici. Le bandiere più incredibili compaiono allo stadio. Da una parte rigorosamente l’Union Jack, sventolata al grido God Save the Queen, dall’altra tricolori irlandesi ma non solo: anche bandiere palestinesi, basche, catalane, tutti paesi che, come un tempo facevano gli irlandesi, rivendicano indipendenza e libertà. Ma non finisce qui: i tifosi del Celtic sventolano anche bandiere vaticane e sciarpe inneggianti al Papa, perché qui essere del Celtic vuol dire identificarsi con la religione cattolica romana.
Commovente il momento dell’ingresso delle squadre in campo, per quella che viene considerata la partita più combattuta al mondo. Passione e incoraggiamenti non hanno paragone con quanto può avvenire in altri derby. Quando poi si gioca al Celtic Park, cioè in “casa” cattolica, vengono cantati a squarciagola inni e ballate irlandesi. Fino a pochi anni fa la polizia aveva individuato tra i tifosi anche sostenitori dell’IRA, l’esercito repubblicano irlandese che per trent’anni ha combattuto in clandestinità per la liberazione dell’Ulster.
Da 122 anni questa sfida va avanti e promette di continuare ancora a lungo perché in Scozia, come in Irlanda, il tempo non passa e il passato è un eterno presente.